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Cosa Il COVID-19 Potrebbe Insegnarci Sull’inquinamento

Le misure adottate per il contenimento dell’epidemia di COVID-19 offrono, per il loro carattere straordinario, un’opportunità unica per migliorare la nostra comprensione del fenomeno dell’inquinamento atmosferico, che nel nostro Paese ogni anno causa, secondo l’European Environmental Agency, oltre 75.000 decessi prematuri. Infatti, in un momento in cui il traffico veicolare si è fortemente ridotto, è possibile escludere una variabile dall’equazione e verificare con maggior precisione il contributo relativo dei diversi settori emissivi sulle differenti tipologie di inquinanti atmosferici (per una descrizione delle principali categorie si rimanda a questo mio articolo).

L’effetto del lockdown sull’inquinamento atmosferico: ossidi di azoto (NOx) e polveri sottili (PM)

In un mio articolo pubblicato prima dell’arrivo della pandemia ricordavo che circa il 60% delle emissioni primarie di polveri sottili (PM2.5 e PM10) in Italia sono direttamente attribuibili al riscaldamento. Le emissioni di ossidi di azoto, tra i quali il biossido (NO2) è la tipologia tipicamente tracciata nelle rilevazioni, sono invece da ricondursi in gran parte al settore dei trasporti.

Le misure adottate per fronteggiare la crisi sanitaria hanno avuto un effetto diverso su questi due inquinanti: la diminuzione delle concentrazioni di NO2 è stata infatti molto più elevata di quella delle PM10. E ciò è dovuto almeno in parte al loro differente profilo emissivo.

Ad esempio, i dati diffusi da ISPRA mostrano come tra il 5 e il 25 marzo la concentrazione di biossido di azoto nelle regioni della Pianura Padana si sia ridotta del 40-50% rispetto al mese di febbraio, principalmente a causa delle limitazioni imposte alla mobilità. Anche le prime analisi di diverse ARPA regionali (Piemonte, Lombardia, Toscana) evidenziano un calo netto delle concentrazioni di NO2 rispetto alla media degli anni precedenti, specialmente nelle stazioni di rilevamento posizionate in prossimità delle arterie di traffico.

Per quanto riguarda invece la concentrazione di PM10, le analisi delle ARPA hanno rilevato una più lieve riduzione, interrotta da picchi dovuti a fattori meteoclimatici (si pensi ad esempio alla tempesta di polveri desertiche dell’ultima settimana di marzo), comunque compatibile con l’andamento mensile tipico di questo inquinante. Infatti, le emissioni di PM10 mostrano a livello aggregato una tendenza alla diminuzione con l’approssimarsi dei mesi estivi, sia per il progressivo spegnimento dei sistemi di riscaldamento domestico, sia perché le condizioni meteorologiche risultano più favorevoli alla dispersione degli inquinanti.

Fermo restando l’impatto delle variabili meteoclimatiche e il complesso quadro emissivo delle PM10 (che ricordiamo essere caratterizzato da una componente primaria e una secondaria), potrebbe essere lecito sostenere che la minore riduzione delle concentrazioni di questo inquinante sia stata dovuta anche al più elevato utilizzo dei sistemi di riscaldamento in ambito domestico. Le temperature al di sotto della media stagionale che si sono verificate in alcune giornate del mese di marzo e le abitazioni piene a causa del lockdown, hanno infatti verosimilmente portato ad un maggiore fabbisogno di calore, compensando la minor richiesta termica per scaldare scuole, uffici pubblici, aziende e attività commerciali.

Dopo l’emergenza: privilegiare tecnologie pulite ed efficienti in tutti i settori

Di certo la priorità attuale è l’uscita dall’emergenza sanitaria ed economica determinata dal Coronavirus. E al di là delle supposte interrelazioni tra inquinamento atmosferico e diffusione del virus, non avevamo bisogno del COVID-19 per essere consapevoli dell’urgenza di interventi strutturali ed efficaci per migliorare la qualità dell’aria nelle nostre città, anche se le evidenze che suggeriscono che l’esposizione prolungata alle polveri sottili aumenti la probabilità di complicazioni gravi nei contagiati rappresentano sicuramente un motivo in più per agire con decisione.

Nell’ambito di un più ampio impulso alla ripresa dell’economia, dobbiamo cogliere l’occasione di rilanciare con forza la diffusione di tecnologie e stili di vita più sostenibili. La fase post-Coronavirus assomiglierà al dopo terremoto: dovremo ricostruire, e dovremmo farlo indirizzando le risorse verso un modello di sviluppo più equo e sostenibile, aiutati da una Pubblica Amministrazione più efficiente e da regole più chiare e certe.

Abbiamo a disposizione soluzioni tecnologiche innovative che consentono di coniugare competitività e rispetto dell’ambiente: favorirne la diffusione in settori come quello dei trasporti e del riscaldamento sarà determinante per non riportare i livelli di inquinamento atmosferico agli insostenibili limiti della quotidianità pre-crisi. Mi riferisco alla promozione della mobilità elettrica, a un maggiore impiego delle pompe di calore elettriche e a gas (GHP), della microcogenerazione ad alto rendimento per soddisfare il fabbisogno di calore di condomini, Pubblica Amministrazione e PMI. Si tratta di soluzioni innovative capaci di ridurre drasticamente l’impatto emissivo del riscaldamento e la loro promozione creerebbe un circolo virtuoso di investimenti in efficienza energetica.

Un’occasione senza precedenti per programmare interventi più calibrati

L’inquinamento dell’aria ha un costo enorme per il sistema sanitario italiano, come enorme è il numero di vite che potremmo salvare avviando interventi strutturali per ridurre l’impatto di tutti i settori emissivi.

Nei prossimi mesi agli esperti toccherà l’importante compito di confermare queste prime ipotesi: i risultati delle loro analisi ci potranno forse dire con maggiore precisione su quali ambiti concentrare gli interventi per migliorare la qualità dell’aria nelle città italiane. Ai decisori pubblici le loro conclusioni offriranno un’irripetibile occasione per avviare politiche di sostituzione veramente efficaci.

 

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