Abbandonare i combustibili fossili
È urgente compiere il phase-out degli impianti di generazione di energia elettrica che emettono più emissioni climalteranti e inquinanti: carbone e olio combustibile in primis, e, in prospettiva, gli impianti a gas.
Negli ultimi 8 anni in Italia si è fermato il phase-out di capacità termoelettrica, con impatti sia in termini di emissioni, sia in termini di costi: questi impianti beneficiano di incentivi (capacity market) per poter continuare ad esistere pur non essendovi, in prospettiva, alcuna necessità di disporne ai fini della sicurezza e dell’adeguatezza del sistema elettrico dato lo sviluppo previsto della capacità di generazione da fonti rinnovabili, di sistemi di accumulo e delle infrastrutture di rete.
In Italia, il rischio crescente di stranded asset è concreto, sia per il gas, sia per il carbone.
Secondo l’Institute for energy economics and financial analysis (Ieefa), nonostante la domanda di gas naturale sia diminuita del 19% tra il 2021 e il 2024, i piani per le infrastrutture destinate al gas naturale liquefatto potrebbero triplicare la capacità di rigassificazione dell’Italia, portandola da 16,1 miliardi di metri cubi nel 2022 a 47,5 miliardi di metri cubi nel 2026, un livello sproporzionato rispetto al calo dei consumi che per Ieefa dovrebbe portare nel 2030 la domanda nazionale per il Gnl ad essere pari a meno di un terzo della capacità di rigassificazione del Paese.
Secondo Arera, il continuo sviluppo di infrastrutture per il gas naturale liquefatto in un contesto di domanda in declino rischia di generare un eccesso di capacità, con conseguente abbassamento dei tassi di utilizzo.
Peraltro, la crescita prevista delle rinnovabili e l’auspicata elettrificazione dei consumi ridurranno in misura sempre maggiore lo spazio di mercato per le fonti fossili, accentuando l’incongruenza degli investimenti in infrastrutture fossili.
La Strategia energetica nazionale prevede la chiusura definitiva delle centrali a carbone entro il 2025. Anche per Terna, il gestore della rete elettrica, il sistema elettrico può reggere senza le due centrali a carbone e non esistono motivi tecnici per rinviare la chiusura. Il Governo invece ha deciso di rinviare la chiusura degli impianti a carbone di Brindisi e Civitavecchia. Le motivazioni, dunque, non riguardano le necessità della rete.
Rinviare la chiusura significa, quindi, rinviare artificiosamente i costi per lo smantellamento e la bonifica degli impianti, e mancare l’opportunità di riqualificazione dei territori. Mantenere queste centrali dormienti, inoltre, costerà: bisogna pagare il personale, fare manutenzione, tenere gli impianti pronti. Stando a recenti dichiarazioni del titolare del MASE, questi costi, la cui quantificazione non è incredibilmente definita, saranno coperti dallo Stato, quindi dai cittadini.