Non solo tecnologia: la transizione si fa con le persone
Trent’anni fa, parlare di sostenibilità significava muoversi ai margini del dibattito economico.
Eppure, nel 1995, Agostino Re Rebaudengo fonda Asja Energy con un obiettivo chiaro: produrre energia da fonti rinnovabili e ridurre le emissioni climalteranti. Da allora, l’impresa è cresciuta, ha investito in innovazione, ha anticipato i cambiamenti e ha fatto della coerenza un asset strategico. Agostino Re Rebaudengo ripercorre le tappe di un’impresa che ha fatto della sostenibilità una leva competitiva e racconta a Nuova Energia il metodo Asja: il dialogo con i territori, la centralità delle persone, la sede di Rivoli come manifesto ambientale e culturale. Perché la transizione non è solo una questione tecnica: è una scelta collettiva.
Nel 2025 Asja compie 30 anni. Basterebbe questo dato – in un Paese dove la vita media delle aziende è poco più di 12 anni – per fare un titolo.
Qual è il segreto di questa longevità?
Non dare mai nulla per scontato è il primo ingrediente. Da sempre, ogni tre anni rimetto in discussione tutto: strategie, modelli, priorità. È un metodo che ho adottato fin dai miei primi lavori e che oggi, a trent’anni dalla fondazione di Asja, considero ancora essenziale. Una visione chiara ma non rigida, capace di adattarsi ai cambiamenti tecnologici, normativi e ambientali. Una governance stabile ma dinamica. Tener presente che anche se si fa bene, si può sempre fare meglio. E soprattutto, una convinzione incrollabile: si può fare impresa creando valore economico, ma anche ambientale e sociale, riducendo le emissioni climalteranti e promuovendo uno sviluppo sostenibile. Sono questi gli altri ingredienti della ricetta della longevità sostenibile di Asja.
Questo approccio vi ha permesso di anticipare i cambiamenti e non subirli, anzi trasformali in opportunità di crescita in Italia e anche nel contesto internazionale.
Giocare d’anticipo è nel nostro DNA. Ancor prima degli obblighi europei, ci siamo dotati di un bilancio di sostenibilità volontario che rendiconta in modo trasparente le nostre performance ambientali, sociali e di governance. Siamo orgogliosi anche di aver ottenuto il massimo punteggio nel Rating di Legalità (★★★) attribuito dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, e di aver ricevuto per due anni consecutivi il premio Legalità e Profitto patrocinato dal Senato. La coerenza tra ciò che un’azienda promette e ciò che realizza è forse il più silenzioso, ma potente, segreto della longevità. In Asja, facciamo ciò che diciamo, e farlo bene con continuità costruisce fiducia, un asset più forte di qualsiasi tecnologia: apre le porte, consolida le relazioni con clienti, partner, istituzioni e territori. La nostra coerenza si traduce in scelte etiche e trasparenti, anche quando non sono le più semplici da prendere, e investimenti di lungo periodo, non solo in impianti ma anche nelle persone. Così i nostri interlocutori ci riconoscono serietà e credibilità.
Trent’anni anni fa si parlava poco o nulla di sostenibilità ed efficienza energetica. Cosa l’ha portata a scommettere su questi temi?
Quando nel 1995 ho fondato Asja Energy, il Protocollo di Kyoto non era ancora stato firmato, e parlare di riduzione delle emissioni climalteranti sembrava un esercizio teorico. Ricordo perfettamente la perplessità del notaio quando cercavo di spiegargli cosa avrebbe fatto Asja: produrre energia elettrica da fonti rinnovabili e ridurre le emissioni di CO₂. Era una scommessa, certo, ma fondata su una consapevolezza profonda: il nostro Pianeta stava già lanciando segnali di sofferenza, e ignorarli sarebbe stato irresponsabile. Ho scelto di scommettere su un modello di sviluppo diverso, convinto che il progresso non possa prescindere dal rispetto per l’ambiente. E questa convinzione ci ha portati a intuire prima di altri la direzione in cui si stava muovendo il mondo.
Quali sono stati i primi passi di Asja Energy?
Abbiamo iniziato valorizzando il biogas da discarica, trasformando rifiuti in risorsa: un approccio che oggi chiamiamo economia circolare. Poi siamo entrati nell’eolico, nel fotovoltaico, nella microcogenerazione e nella produzione di biometano dalla frazione organica. Oggi, abbiamo 93 impianti costruiti in Italia e all’estero. Ogni anno produciamo energia rinnovabile sufficiente per coprire il fabbisogno di oltre un milione di persone. Siamo anche diventati Società Benefit, un modello che riflette ciò che siamo sempre stati: un’impresa che fa bene, facendo del bene. Asja è la prova che la transizione aumenta la competitività delle imprese, con buona pace di chi sostiene il contrario negando l’evidenza dei dati sugli investimenti e sulle performance delle imprese che dimostrano come la sostenibilità crei vantaggi significativi e misurabili.
Asja progetta e costruisce impianti per la produzione di energia rinnovabile. Quali sviluppi tecnologici ci sono stati in questi sei lustri? E quali dobbiamo attenderci nel prossimo futuro?
In trent’anni, il settore delle rinnovabili ha vissuto un’evoluzione radicale. Abbiamo assistito a progressi tecnologici straordinari: turbine eoliche sempre più potenti ed efficienti, pannelli fotovoltaici molto più performanti e molto più economici. Da molti anni ormai le rinnovabili non sono affatto una scelta di nicchia, bensì il modo più conveniente di produrre energia. Nel 2024, ad esempio, abbiamo visto che oltre il 90 per cento dei nuovi impianti rinnovabili realizzati nel mondo producono energia a un costo inferiore rispetto alle fonti fossili più economiche. In pratica, l’energia rinnovabile è diventata l’opzione più economica, non solo la più sostenibile.
Il fatto che i costi siano crollati e che la tecnologia abbia fatto passi da gigante rende indispensabile innovare costantemente.
È proprio quello che facciamo. Nel 2024 abbiamo avviato importanti interventi di repowering sui nostri impianti eolici e fotovoltaici. Il repowering utilizzando le nuove tecnologie permette con uguale o minore utilizzo di suolo di produrre più energia rinnovabile e in modo più efficiente. Parallelamente, stiamo digitalizzando tutti i processi: dai sistemi ERP (Enterprise Resource Planning, software gestionali che integrano i principali processi di un’azienda) al monitoraggio in tempo reale tramite cloud e intelligenza artificiale. Questo ci permette non solo di controllare meglio gli impianti, ma anche di prevedere, ottimizzare e intervenire con precisione. Guardando al futuro, ci aspettano tecnologie ancora più interconnesse: sistemi di accumulo avanzati, gestione intelligente dell’energia, maggiore integrazione tra fonti e, soprattutto, un approccio sempre più circolare. L’innovazione non si ferma: e noi, da trent’anni, siamo abituati a farci trovare pronti.
Oltre l’Italia, in quali Paesi siete presenti? E con quali progetti?
Siamo attivi in Argentina, Brasile e Cina dove portiamo avanti progetti che riflettono la nostra visione – energia pulita, efficienza, benefici per l’ambiente e le comunità – operando in contesti molto diversi e adattando tecnologie e modelli di business alle specificità locali. In Argentina abbiamo sviluppato impianti di biogas, ma dopo due anni di attività abbiamo scelto di uscire da quel mercato, troppo instabile dal punto di vista normativo e operativo. L’ingresso nel mercato brasiliano nel 2006 ha segnato una svolta strategica: è stato il primo Paese estero in cui Asja ha realizzato impianti di biogas da discarica, contribuendo alla produzione di energia rinnovabile e alla riduzione delle emissioni climalteranti. In Brasile, infatti, abbiamo realizzato impianti di biogas tra i più grandi del Sud America, come quello di Belo Horizonte che rappresenta una nuova frontiera nella valorizzazione energetica dei rifiuti. Nonostante una certa complessità normativa, siamo riusciti a consolidare la nostra presenza in Brasile instaurando una solida relazione con le Comunità e le Istituzioni locali.
E in Cina?
In Cina, operiamo a Shenyang, dove dal 2006 è operativo il nostro impianto di valorizzazione energetica del biogas da discarica che non solo produce energia elettrica, ma anche calore e vapore, contribuendo all’efficienza del distretto industriale locale. Qui l’approccio è estremamente pragmatico: esistono regole chiare, la burocrazia funziona e gli investimenti partono. Il settore è competitivo – basti pensare alle sette tigri che gestiscono l’energia elettrica – ma gli obiettivi si raggiungono.
Rinnovabili: più forte la sindrome Nimby o la lentezza burocratica?
Il vero ostacolo non è tanto la sindrome Nimby – il non nel mio giardino – quanto un’altra dinamica, più silenziosa delle proteste locali ma molto più dannosa: la paralisi burocratica, quel Nimto, non nel mio mandato, che spinge in tante occasioni gli amministratori locali a non decidere, a rimandare, a complicare. E questo immobilismo è alimentato da un quadro normativo nazionale frammentato, in continuo cambiamento e non in grado di accorciare davvero i tempi autorizzativi, e spesso peggiorato dalla mancanza di risorse (persone e sistemi informatici) degli uffici pubblici preposti al rilascio delle autorizzazioni. Purtroppo, Nimby e burocrazia si alimentano a vicenda, bloccando investimenti che potrebbero portare valore reale ai territori. Un impianto rinnovabile è una risorsa che riduce i costi dell’energia, genera entrate fiscali, lavoro, infrastrutture, contrasto allo spopolamento dei piccoli Comuni. I decisori pubblici dovrebbero competere per autorizzarli e ospitarli nei loro territori.
Nella relazione con i territori qual è il metodo di Asja?
Siamo abituati al confronto con i territori. Lo cerchiamo, lo consideriamo parte del progetto. Abbiamo usato strumenti come il dibattito pubblico per spiegare, ascoltare, costruire fiducia. Anche nei casi più complessi, dialogando con comitati e cittadini, abbiamo spesso trasformato l’opposizione in collaborazione. Questo metodo ci ha premiati: oggi veniamo riconosciuti per la serietà e la trasparenza con cui lavoriamo. Ma tutto questo rischia di essere vanificato quando il processo autorizzativo si arena. La burocrazia lenta, frammentata, priva di responsabilità chiare, è il vero collo di bottiglia. Non serve deregolamentare: serve decidere, in tempi certi e con regole comprensibili.
Oggi è opinione comune che la vera energia di un’impresa sia rappresentata dalle persone. Lei questa cosa l’ha vista e l’ha capita già trent’anni fa, quando la sensibilità rispetto al tema non era certo alta. È riuscito a far sentire il gruppo di lavoro di Asja parte di un progetto importante, volto a rendere il mondo un posto migliore. Avere le persone al centro in un’epoca in cui non era ancora di moda è forse uno dei segreti del successo di Asja?
Sì, è proprio così. Se trent’anni fa la sostenibilità era fuori dal vocabolario d’impresa, la centralità delle persone lo era ancora di più. In un contesto imprenditoriale dominato quasi esclusivamente dalle logiche della produttività, mettere al centro il benessere, la crescita e la partecipazione delle persone non era affatto scontato. Eppure, per me è stato naturale. Perché un’impresa che vuole davvero crescere, deve far crescere chi la porta avanti ogni giorno: le sue persone. In Asja abbiamo sempre lavorato per costruire un ambiente rispettoso, inclusivo e stimolante. Lo abbiamo fatto perché era giusto. Oggi, questo approccio è riconosciuto come strategico. Ma noi lo abbiamo adottato fin dall’inizio, e posso dire con orgoglio che è stato uno dei pilastri del nostro successo.
Come avete tradotto questa visione in azioni concrete?
Il nostro Comitato ESG e il Comitato per la Parità di Genere sono gli strumenti per presidiare questi valori e tradurli in azioni quotidiane. Grazie alle diverse misure introdotte per la gender equality, abbiamo ottenuto la certificazione per la parità di genere, adottando una politica interna che garantisce pari opportunità di carriera, equità retributiva, tutela della genitorialità e conciliazione vita-lavoro. Abbiamo introdotto misure di welfare, promosso la formazione sul linguaggio inclusivo e il benessere organizzativo, promuovendo una cultura aziendale scevra da discriminazioni e stereotipi di genere. E soprattutto, abbiamo creato un ambiente dove ciascuno può sentirsi parte di un progetto più grande. Operiamo con responsabilità e trasparenza, e il nostro bilancio di sostenibilità rendiconta anche le azioni intraprese per migliorare il benessere interno. Nel nostro modo di concepire l’impresa, essere pionieri non significa solo anticipare le tecnologie, ma anche i modelli di relazione. La nostra energia più potente, quella che non si misura in megawattora, è quella che nasce dalle persone. I 30 anni di Asja Energy sono una strada lunga e costellata di obiettivi raggiunti grazie all’impegno e le capacità delle e degli Asja People. E se oggi possiamo dire di aver contribuito a rendere il mondo un posto migliore, è grazie a loro.
Un altro motivo di giusto orgoglio credo possa essere la sede di Rivoli: un luogo di lavoro primariamente bello, progettato per essere energeticamente virtuoso e sostenibile anche nelle piccole cose. Ce lo può raccontare?
La nostra sede di Rivoli non è solo il cuore operativo di Asja Energy, è anche l’espressione concreta della nostra visione: riqualificata, energeticamente virtuosa, progettata per il benessere delle persone e per diffondere cultura ambientale. La sede sorge nella zona industriale Cascine Vica, dove abbiamo riqualificato oltre 20.000 m² di area dismessa, bonificando completamente le coperture in amianto e installando un impianto fotovoltaico. Un intervento che ha trasformato un luogo abbandonato in uno spazio produttivo, sicuro e a basso impatto ambientale. Gli ambienti sono stati pensati per favorire il benessere delle persone – spazi luminosi, aree verdi, comfort acustico e termico – affinché chi lavora in Asja si senta parte di una comunità che valorizza il contributo di ciascuno.
Diversi elementi – che parlano di attenzione, cultura e condivisione – contribuiscono a rendere la sede ancora più speciale…
Abbiamo una sala musica dedicata all’Asja Band, dove la creatività di ciascuno diventa musica per tutti. Le numerose sale riunioni non sono solo spazi per incontri operativi, ma anche ambienti dedicati alla formazione, al confronto e alla crescita professionale. Gli spazi comuni, come le aree relax e le zone verdi, favoriscono la socialità e il benessere quotidiano, creando un’atmosfera accogliente e stimolante. In tutta la sede sono presenti opere d’arte che contribuiscono a rendere l’ambiente di lavoro ispirante e culturalmente vivo. Questi elementi rafforzano il legame tra sostenibilità e bellezza, tra innovazione e umanità.
Nel contrasto ai cambiamenti climatici da più parti si ritiene opportuno passare dalla protesta alla proposta. Sul suo blog esiste una sezione dedicata proprio alle proposte per raggiungere gli obiettivi nazionali di decarbonizzazione al 2030. Ci illustra le più importanti?
Di certo è prioritario un deciso aumento della quota di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili. Oggi le rinnovabili coprono circa il 40 per cento del mix elettrico nazionale, mentre il resto è affidato in larga parte al gas naturale, con ben 20 miliardi di metri cubi bruciati nel solo 2024 per produrre elettricità. Portare le rinnovabili all’84 per cento entro il 2030 significherebbe dimezzare l’uso del gas nel settore elettrico, con benefici enormi sia in termini di riduzione dei costi sia delle emissioni climalteranti. Sul fronte della produzione, in parallelo alla crescita delle rinnovabili deve avvenire il graduale abbandono dei combustibili fossili, a partire da carbone e olio combustibile, e in prospettiva anche il gas. Il phase-out di questi impianti, spesso mantenuti in vita da sussidi, consentirebbe di ridurre emissioni e costi evitando il rischio di continuare a investire in infrastrutture destinate a diventare obsolete.
E sul piano normativo?
È necessario rivedere il DM Aree Idonee affinché le aree individuate ex lege dall’articolo 20 del D.Lgs. n. 199/2021 di attuazione della Direttiva (UE) 2018/2001 (RED II) continuino ad essere considerate aree idonee, dando alle Regioni solo la facoltà di estendere e non di ridurre tali aree. Una richiesta che è in linea con la recente posizione del Consiglio di Stato. Tra gli strumenti di mercato, i Power Purchase Agreement (PPA) rappresentano una leva strategica per stabilizzare i prezzi dell’energia e favorire la transizione. I PPA permettono di acquistare energia rinnovabile a prezzo fisso e competitivo per lunghi periodi, disaccoppiando il prezzo dell’energia verde da quello del gas. Il recente Decreto PPA e la delibera ARERA hanno introdotto importanti novità, ma allo stato attuale (ottobre 2025, ndr) il sistema non è ancora pienamente operativo: servono regole che permettano di far partire questo mercato, in futuro si potranno introdurre eventuali correttivi ma intanto l’urgenza è far decollare i PPA. Anche la Pubblica Amministrazione dovrebbe acquistare energia rinnovabile tramite PPA di lungo termine.
Lei è grande conoscitore – e amante – delle arti figurative. Se dovesse indicare un’opera d’arte che meglio la rappresenta, quale sceglierebbe?
L’arte e la cultura sono da sempre una parte fondamentale della mia vita e del mio percorso professionale. Dal 1994 al 1997 ho guidato il risanamento della Giulio Einaudi Editore. Sono stato consigliere del Museo d’arte contemporanea Castello di Rivoli, presidente del Teatro Stabile di Torino per oltre un decennio, presidente del Museo A come Ambiente di Torino. Sono co-fondatore e vicepresidente della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, e co-fondatore e vicepresidente della Venice Gardens Foundation. Se dovessi scegliere un’opera tra le tante che rappresentano i miei valori, in questo momento indicherei la Light box Global Warming di Peter Fend. Quest’opera, una scritta luminosa dai colori intensi e immediati – rosso, bianco e blu, tipici delle grafiche delle breaking news – è nel mio ufficio, è visibile in ogni riunione che svolgo. La sua presenza è costante.
Ce la racconti.
Quest’opera raffigura la motivazione profonda del mio impegno e anche la ragione collettiva del perché dobbiamo davvero accelerare la transizione energetica. Non è solo una dichiarazione, è un allarme che richiama l’urgenza di agire. Il cambiamento climatico, pur essendo ormai una realtà consolidata, continua a sorprenderci con nuovi record e fenomeni sempre più estremi, in una sequenza di notizie che si susseguono senza sosta, proprio come una breaking news che non si spegne mai. E se non invertiamo la rotta adesso, accelerando le rinnovabili e abbandonando i combustibili fossili, andremo incontro ad un aumento della temperatura media di 3 °C. Sarebbe un mondo invivibile: città costiere sommerse, mancanza di cibo e di acqua potabile, ondate di calore estreme e incendi fuori controllo. Sarebbe come abitare in una breaking news permanente, una drammatica quotidianità. La forza visiva della scritta luminosa Global Warming, con la sua grafica da notiziario urgente, è un invito a non abbassare la guardia: ci ricorda che il clima è il quadro generale entro cui si muovono tutte le nostre scelte, personali e collettive. Per me, tenerla sempre in ufficio significa ribadire ogni giorno a me stesso e agli altri che la lotta al cambiamento climatico è la priorità assoluta. In questo modo, l’arte diventa non solo rappresentazione, ma anche responsabilità e contrasto all’indifferenza, un invito urgente a contribuire, ciascuno nel proprio ambito, a una trasformazione necessaria e irrimandabile.
Questo articolo a cura di Paola Sesti è stato pubblicato su Nuova Energia edizione 3 del 2025, e include anche l'approfondimento:
Il data center di Asja Energy innova Torino
Il progetto di Asja Energy per la realizzazione di un data center nell’area ex-Bonafous rappresenta una svolta strategica per Torino. Con un investimento di 1 miliardo di euro, il progetto riqualifica una zona storicamente industriale, trasformandola in un polo tecnologico d’eccellenza, senza ulteriore consumo di suolo. L’infrastruttura di 90.000 metri quadrati, con una capacità IT iniziale di 125 MW (espandibile fino a oltre 300 MW), sarà motore di digitalizzazione e sviluppo economico per l’intera filiera industriale e dei servizi. Durante la costruzione, saranno impiegati oltre 1.200 lavoratori per circa tre anni. A regime, il data center genererà oltre 4.000 posti di lavoro, tra diretti, indiretti e indotti. Ogni anno saranno investiti tra i 50 e i 70 milioni di euro in manutenzione e servizi, affidati in larga parte a imprese locali, stimolando un indotto industriale virtuoso. La nascita del data center si inserisce in un tessuto ricco di esperienze di eccellenza. Tra queste, l’Artificial Intelligence Hub del Politecnico di Torino, centro di rilevanza internazionale che unisce competenze multidisciplinari e promuove la crescita di giovani talenti, e l’Executive Master in Intelligenza Artificiale e scelte manageriali, percorso formativo innovativo sviluppato dal Politecnico in collaborazione con Deloitte. La presenza del data center consentirà a queste realtà di disporre di potenza computazionale di prossimità, accelerando ricerca, innovazione e trasferimento tecnologico verso le imprese. Grazie al recupero di calore e all’integrazione con le fonti rinnovabili, il data center sarà anche
un abilitatore di efficienza energetica e di decarbonizzazione, contribuendo alla transizione sostenibile della Città di Torino, della Regione Piemonte e quindi dell’Italia.