skip to Main Content
+1,45 °C. Allarme Rosso! Acceleriamo La Transizione Verde

DA PRESIDENTE DI ELETTRICITÀ FUTURA, LA PRINCIPALE ASSOCIAZIONE DEL SETTORE ELETTRICO ITALIANO, E DA IMPRENDITORE, CON ASJA, CHE DA OLTRE 25 ANNI LAVORA PER LA SOSTENIBILITÀ ENERGETICA, HO RITENUTO IMPORTANTE DEDICARE, IN DIVERSE OCCASIONI, I MIEI ARTICOLI ALL’EMERGENZA CLIMATICA

L’ho fatto (anche) perché l’unica possibilità di limitare l’aumento della temperatura a 1,5 °C è accelerare la transizione energetica. Ed è sempre bene tenerlo a mente. Ma non solo. Sono convinto che non possa esserci sviluppo e competitività industriale, che non sia plausibile perseguire benessere e progresso sociale in un Pianeta dagli equilibri così pericolosamente instabili. Anno dopo anno, il cambiamento climatico segna nuovi record, sembra quasi che l’opinione pubblica si sia assuefatta alla gravità e alle incontrovertibili certezze che la scienza in questi anni ha acquisito. Ma adesso arriva un allarme che suona, o almeno dovrebbe, come una brusca svegliata, perché la certezza della gravità ha lasciato il posto ad accadimenti climatici tanto straordinari quanto inspiegabili. Con inspiegabili intendo che nemmeno la scienza riesce a capire la “piega” che ha preso l’emergenza climatica. Nel 2023, spiega Gavin Schmidt, direttore del Goddard Institute for Space Studies della NASA, si è aperto un divario di conoscenze che non ha precedenti negli ultimi 40 anni, cioè, per la prima volta ci si è resi conto che il nostro Pianeta si sta trasformando con dinamiche che sfuggono, per velocità ed estensione, alla comprensione della comunità scientifica. Mi ha davvero colpito un recente (24 marzo) editoriale del Financial Times della giornalista Roula Khalaf. Inizia confrontando due annunci, avvenuti circa a metà di marzo, a distanza di un giorno. Amin Hassan Nasser, presidente e amministratore delegato della più grande compagnia petrolifera dell’Arabia Saudita, ha sostenuto alla conferenza sull’energia di Houston (CERAWeek 2024) che è il momento di abbandonare la “fantasia” di eliminare petrolio e gas, perché il mondo deve investire nei combustibili fossili per soddisfare la domanda di energia, in un momento in cui la transizione energetica sta “visibilmente fallendo su più fronti”. L’indomani, Celeste Saulo, segretaria generale del World Meteorological Organization delle Nazioni Unite, commentava i risultati del Report State of the
Global Climate 2023, appena pubblicato. Nel 2023, l’anno più caldo mai registrato, tutti gli indicatori
climatici hanno segnato nuovi record, e, incredibilmente, i record precedenti sono stati “not
just broken but smashed”. La temperatura globale è aumentata di +1,45 °C (rispetto alla media del periodo 1850-1900), un valore allarmante se consideriamo che l’Accordo di Parigi si ripromette di non superare +1,5 °C entro fine secolo. Le emissioni di CO2 continuano ad aumentare. Il livello del mare e il surriscaldamento degli oceani hanno raggiunto valori mai osservati, e il tasso di aumento sta accelerando. L’estensione del ghiaccio marino antartico è ai minimi storici, i ghiacciai non hanno mai perso così tanto ghiaccio. Però, la breaking news, come anticipato, è un’altra. Per Jim Skea, presidente dell’IPCC, la velocità con cui il Pianeta si sta surriscaldando è “una sorpresa” che gli scienziati non si sarebbero mai aspettati e che, peraltro, non riescono a comprendere. Le temperature degli oceani hanno raggiunto livelli “off the scale” in termini di record storici, un fattore completamente nuovo che deve ancora trovare una spiegazione. Torniamo al primo annuncio. È una fake news che la transizione energetica stia fallendo, e pur considerando le barriere che ancora persistono e il campanilismo di Nasser, le sue sono dichiarazioni
fuori dal mondo.

Come si può affermare che per soddisfare la domanda di energia la soluzione sia investire nei combustibili fossili? Definire “fantasia” il phase-out fossile significa ignorare del tutto l’andamento del
mercato globale dell’energia: la direzione degli investimenti nel settore elettrico è netta, e non ci
sono inversioni a U all’orizzonte. Mi ricorda Willy il coyote che corre oltre il burrone, non si accorge di essere sospeso sul vuoto, e solo quando se ne rende conto precipita. Per la decarbonizzazione del sistema energetico servono investimenti, ma i benefici – economici, climatici, occupazionali e anche in termini di sicurezza e stabilità dei Paesi – saranno sempre maggiori dei costi. E questi investimenti nella
transizione bisogna accompagnarli da un disinvestimento nei fossili. Vediamo perché.
Fatta eccezione per la leggera frenata dovuta ai lockdown tra il 2020 e il 2021 (Covid), gli investimenti nelle rinnovabili sono in costante crescita negli ultimi vent’anni a livello globale, perché le rinnovabili riducono i costi e assicurano le forniture. Nel mondo, l’84 per cento di nuova potenza elettrica realizzata nel 2022 è stata rinnovabile, una percentuale salita all’87 per cento nel 2023. A stimarlo è IRENA, nel suo nuovo report Tracking COP28 Outcomes: Tripling renewable power capacity by 2030 pubblicato a marzo 2024, con l’obiettivo di monitorare i progressi verso il raggiungimento del target stabilito alla COP28 di Dubai, dove oltre 100 Paesi (tra cui l’Italia) hanno sottoscritto l’impegno a triplicare la capacità installata di energie rinnovabili entro il 2030. Oltre ad essere l’unica possibilità, confermata anche dalla IEA, di avere una speranza di non oltrepassare il target 1,5° C, si tratta di un obiettivo fattibile dal punto di vista sia tecnico che economico. Dallo studio emerge che nonostante la crescita record degli investimenti in
nuova generazione elettrica rinnovabile nel 2023, non stiamo ancora facendo abbastanza, serve più
determinazione e volontà politica nel favorire la transizione elettrica ed energetica nel suo complesso.
Rispettare l’impegno preso a COP28, triplicando la potenza rinnovabile, significa passare dai 473 nuovi
GW installati nel 2023 a quasi 1.100 GW ogni anno. Per farlo, gli investimenti dovranno crescere dai circa
570 miliardi di dollari del 2023 a circa 1.500 miliardi (mediamente) all’anno tra il 2024 e il 2030. Il target
di COP28, e quindi lo scenario compatibile con l’obiettivo 1,5°C, implica che all’aumento della capacità rinnovabile corrisponda un declino degli investimenti nei combustibili fossili. Secondo IRENA, i Paesi membri del G20 – che rappresentano più dell’80 per cento del PIL mondiale, il 75 per cento del commercio globale e il 60 per cento della popolazione del Pianeta – hanno elargito 1.400 miliardi di fondi pubblici in sussidi ai combustibili fossili nel 2022, praticamente quasi la stessa cifra che dovremmo investire annualmente in rinnovabili. Peraltro, secondo l’International Institute for Sustainable Development (IISD), i Paesi del G20 hanno quadruplicato nel 2022 rispetto al 2021 i finanziamenti pubblici destinati a petrolio, gas e carbone. Sarebbe necessario da una parte allocare le risorse pubbliche in coerenza con gli impegni assunti a COP28, e nel caso dell’Italia assunti anche con l’Europa nell’ambito del PNRR. Dall’altra, velocizzare il rilascio delle autorizzazioni per i progetti della transizione, così come rendere organico ed efficace il quadro di norme e regole. Sono tutti fattori determinanti per accelerare gli
investimenti nelle rinnovabili, nelle reti elettriche e nei sistemi di stoccaggio.

Questo articolo è stato pubblicato su la Nuova Energia.

Back To Top