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Energia Al Centro

L’energia è storicamente uno dei motori del processo di integrazione europea. La Comunità Economica del Carbone e dell’Acciaio (CECA) fu istituita nel 1951 con l’obiettivo di creare un mercato comune per due materie prime strategiche per la ricostruzione postbellica, il cui controllo fu causa nei decenni precedenti di violente tensioni tra i paesi europei. Nel 1957 si aggiunse la Comunità Europea dell’Energia Atomica (EURATOM) il cui scopo era ed è la formulazione di una politica comune sul nucleare per uso pacifico, con particolare riferimento al coordinamento delle attività di ricerca, alla sicurezza degli approvvigionamenti e delle installazioni.

Per una serie di motivi – progressiva diminuzione dell’importanza del carbone in favore del petrolio, differenze nei mix energetici degli Stati membri, posizioni contrastanti nei confronti dell’energia nucleare – il tema energetico perse rilevanza. Nessuno degli accordi fondamentali successivi a quel periodo ha infatti incluso l’energia tra le competenze comunitarie. Solo con il trattato di Lisbona, entrato in vigore nel 2009, la politica energetica viene inserita tra le competenze “concorrenti” tra Stati membri e Unione.

Ciò non ha però impedito negli anni precedenti alla Commissione europea di colmare gli interstizi di sovranità lasciati liberi dai trattati per promuovere una normativa che ha portato alla pubblicazione dei tre pacchetti energia (1996, 2003 e 2009), con i quali è iniziato il processo di apertura dei mercati del gas e dell’elettricità negli Stati membri. Accanto alle misure volte a creare un mercato europeo per l’energia hanno via via acquisito rilevanza i temi legati alla sicurezza degli approvvigionamenti e al cambiamento climatico (il Pacchetto Clima Energia, conosciuto come Strategia 20-20-20, adottato nel 2009).

Questo approccio olistico ha trovato una strutturazione più concreta nella Strategia dell’Unione dell’Energia, presentata dalla Commissione europea il 25 febbraio 2015, che affrontava cinque “dimensioni”: sicurezza dell’approvvigionamento, mercato dell’energia, efficienza energetica, decarbonizzazione, ricerca e innovazione. Il Clean Energy Package del 2016 e la sua trasposizione nel diritto comunitario terminata di recente è il risultato più significativo di questo nuovo corso.

A quattro anni dal lancio della Strategia, e con la Commissione Juncker ormai prossima a passare il testimone, l’Istituto Affari Internazionali, importante think tank indipendente, ha dato un giudizio positivo ma con riserva: non si è trattato di una mera operazione di rebranding di vecchie politiche ma un approccio radicalmente nuovo e ambizioso dell’UE in campo energetico e climatico. Tuttavia, la storica avversione degli Stati membri nel perseguire una politica energetica comune, unita alla mancanza di adeguati strumenti di governance (obiettivi nazionali vincolanti, misure correttive ecc.), ha limitato in molte occasioni la portata delle iniziative messe in atto.

Questo è il caso delle bozze dei Piani Nazionali Clima Energia, inviati a fine 2018 dagli Stati membri alla Commissione europea. L’analisi delle bozze condotta dall’Istituto Affari Internazionali evidenzia infatti una generale divergenza degli stessi rispetto agli obiettivi del Clean Energy Package sia in termini di ambizione, sia di misure previste e priorità.

La prossima Commissione europea, che entrerà in carica a novembre 2019, dovrà portare a termine il lavoro di “correzione” delle bozze dei vari piani nazionali prima della loro adozione ufficiale nel 2020. Per chi crede fortemente nel progetto europeo l’augurio è che l’energia – possibilmente pulita – possa diventare anch’essa motore di integrazione e rafforzamento dell’Unione europea.

Questo articolo è stato pubblicato su QualEnergia, numero 3-2019.

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