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Fit For 55, Siamo Pronti?

Già nel 2014 proponevo un meccanismo europeo di carbon tax per contrastare il dumping causato da chi inquina e ridurre l’effetto carbon leakage, annullando il vantaggio economico di produrre in Paesi meno sostenibili.

Alla base della proposta vi erano i grandi sforzi compiuti dalle industrie italiane ed europee in termini di riconversione sostenibile.

Sforzi che hanno condotto l’Europa alla leadership nell’ambito della produzione industriale pulita. Avremmo quindi solo da guadagnare a competere in un sistema che favorisca l’esportazione di prodotti innovativi e sostenibili e scoraggi l’importazione di prodotti da Paesi che non rispettano alcuna normativa volta a contenere realmente le emissioni di CO2.

Sette anni fa sostenevo con forza che industria, occupazione e green economy potessero rafforzarsi reciprocamente nel quadro strategico di un Green Deal che ponesse l’Europa alla guida della rivoluzione industriale sostenibile, stimolando gli altri Paesi ad innovare i processi produttivi per non perdere posizioni di mercato.

Eravamo alla vigilia della COP21 del 2015, passata alla storia per l’Accordo di Parigi, il primo universale e giuridicamente vincolante sui cambiamenti climatici che indicò i 2° C come aumento della temperatura da non superare entro fine secolo con uno sforzo per limitarlo a 1,5° C ed evitare le conseguenze peggiori.

È il 2021, a maggio la CO2 ha toccato il record storico di 419 parti per milione (ppm) e le emissioni quest’anno sono aumentate di circa il 5% rispetto al 2020. Continuando così la temperatura salirà di 1,5° C già nel 2034, se non prima dato che l’accumulo di CO2 in atmosfera sta accelerando.

Oggi più di ieri sono convinto che la nostra industria potrebbe trarre importanti vantaggi competitivi dall’introduzione del Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM), una delle misure contenute nel Fit for 55 Package presentato dalla Commissione europea lo scorso 14 luglio con l’obiettivo di dare sostanza al Green Deal e creare i presupposti per il raggiungimento del target di riduzione della CO2 del -55% al 2030.  

Il Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM) previsto nel Fit for 55 ha lo scopo di “tassare” il maggior carbonio emesso per produrre i beni importati rispetto a quelli prodotti in Europa. Coinvolgerà 5 settori: energia elettrica, cemento, alluminio, ferro e acciaio, fertilizzanti​.

È una proposta in cui credono anche 28 premi Nobel dell’economia, ritenendola efficace per ridurre le emissioni di CO2. Secondo loro per assicurare una transizione ecologica più equa i ricavi della tassazione dovrebbero essere destinati anche per contenere gli impatti sui settori più emissivi e sulle fasce sociali più deboli.

Alcuni vantaggi dovrebbero essere riconosciuti alle aziende che esportano prodotti con un’impronta carbonica più bassa della media di mercato.

In parallelo all’avvio del CBAM andrà coordinato il rafforzamento e l’estensione dell’Emissions Trading System (ETS) europeo, altra misura molto importante contenuta nel Fit for 55. Il meccanismo europeo di scambio delle quote di emissione mette un prezzo alla CO2 del settore energetico e dell’industria e verrà esteso al trasporto marittimo.

Si sta studiando un ETS separato e autonomo per i settori del riscaldamento e raffreddamento degli edifici e del trasporto su strada, il cui funzionamento dovrà prevedere regole allineate all’ETS esistente e coerenti con le peculiarità dei due settori.

Per trasporto, edilizia, agricoltura, industria non ETS e rifiuti si lavora invece alla revisione del meno famoso Effort Sharing Regulation. L’insieme di tutte queste nuove misure introdotte nel Fit for 55 dovrebbero riuscire a far valere il principio “chi inquina paga” per settori che insieme sono responsabili di circa il 60% della CO2 emessa in Europa.

Tra le altre misure più rilevanti anche la revisione delle Direttive su rinnovabili ed efficienza, della Direttiva sulla Tassazione dei Prodotti Energetici e l’indicazione del 2035 come orizzonte entro il quale le nuove auto dovranno essere ad emissioni zero.

Per poter dire quanto sarà rivoluzionario il Fit for 55 dovremo attendere i mesi di negoziati che le misure si apprestano ad affrontare, fra il quarto trimestre del 2022 e il primo trimestre del 2023 dovrebbero arrivare le prime approvazioni. Allora capiremo quanto le nuove misure potranno accelerare il raggiungimento del target Green Deal al 2030 e portare alla neutralità carbonica al 2050.

In base alla roadmap per il settore energetico tracciata dalla IEA, in coerenza con il target zero emissioni nette al 2050, dovremmo – da subito – iniziare a ridurre il consumo di petrolio sostituendolo con le rinnovabili.

Inutile quindi continuare la ricerca di nuovi giacimenti avendone già per circa 2 mila miliardi di barili, che all’attuale ritmo di consumo (35 miliardi di barili/anno) significano 60 anni di autonomia.

Al netto delle misure di efficienza energetica, avere la stessa disponibilità di energia richiederà investimenti aggiuntivi in rinnovabili di oltre 100.000 miliardi di dollari nel periodo 2021-2050 a livello globale, cifra confermata anche da BloombergNEF nel suo New Energy Outlook 2021.

Dopo la presentazione del Fit for 55 si sono levate svariate voci critiche circa l’entità dei “costi” della transizione in Europa. A ricordare che si tratta di investimenti e non di costi è stata la Banca Centrale Europea. I 330 miliardi di euro all’anno che serviranno in Europa per rispettare i target climatici non solo eviteranno un collasso economico, ambientale e sociale, ma avranno altrettante ricadute positive sull’economia e sull’occupazione.

A confermare il bilancio positivo della neutralità climatica in Europa è anche Mckinsey. Lo studio dimostra che il traguardo europeo zero emissioni nette al 2050 potrebbe essere raggiunto con benefici complessivi che superano di gran lunga i costi, creando 5 milioni di nuovi posti di lavoro netti.

La transizione ecologica non è certo cosa semplice, cambia lo status quo per molti settori dell’industria ma è inevitabile, è una questione di sopravvivenza. Ci riusciremo?

I recenti esiti del G20 Clima di Napoli non lasciano ben sperare. Nonostante il nostro impegno di padroni di casa, si è concluso con un nulla di fatto su questioni fondamentali, tra cui stabilire una data certa per l’addio al carbone e sottoscrivere l’impegno ad accelerare il target dell’Accordo di Parigi.

A poco meno di 100 giorni alla COP26 sul clima di Glasgow, dai Paesi del G20 sarebbe dovuto arrivare un segnale forte, perché come ha ricordato la segretaria generale dell’UNFCCC Patricia Espinosa, questi Paesi emettono l’80% della CO2 globale. Senza il commitment del G20 non c’è speranza per il target 1,5° C.

 

Per approfondire:

 

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