skip to Main Content
OCSE: Intervenire Sulla Fiscalità Energetica Per Vincere La Sfida Del Clima

Le misure di fiscalità energetica costituiscono uno strumento particolarmente efficace a disposizione dei governi per ridurre le emissioni di gas serra legate ai consumi energetici e per promuovere l’efficienza e la transizione verso fonti di energia low-carbon. Si tratta in sostanza di tassare in misura maggiore e proporzionale l’utilizzo di combustibili che producono emissioni di gas serra. Tuttavia, con poche eccezioni, i paesi sviluppati fanno un uso ancora limitato di questi strumenti, che oltretutto non vengono integrati all’interno di una strategia strutturata di lotta al cambiamento climatico.

Questa è la conclusione a cui giunge l’OCSE nel rapporto Taxing Energy Use 2018, nel quale vengono analizzate la portata e l’entità delle imposizioni fiscali relative al consumo di energia in vigore al 2015 in quarantadue nazioni*. Le tasse prese in considerazione sono quindi principalmente accise e tasse sul carbonio, mentre sono esclusi i mercati delle emissioni come l’Emission Trading Scheme europeo, che in ogni caso ha avuto un impatto limitato a causa, tra l’altro, del prezzo eccessivamente basso dei certificati di emissione.

Un quadro sconcertante di progressi lenti e frammentari

Il quadro che emerge dalla pubblicazione è contraddistinto da differenze sostanziali in base al comparto emissivo considerato: mentre il settore del trasporto su strada risulta ampiamente presidiato con il 97% delle emissioni tassate, negli altri settori, che rappresentano il 95% delle emissioni derivanti dal consumo di energia, solo il 19% delle emissioni sono interessate da un qualche tipo di imposta.

Inoltre, lo studio evidenzia che quasi tutte le forme di tassazione considerate non sono sufficientemente elevate per riflettere il costo climatico derivante dal consumo di energia, indicato conservativamente in 30 euro per tonnellata di CO2. Peraltro, questo benchmark è considerato ancora inadeguato a fornire al mercato segnali di prezzo compatibili con il raggiungimento degli obiettivi climatici stabiliti dall’Accordo di Parigi.

Non si è verificato alcun cambiamento strutturale nel modello di tassazione dei consumi energetici tra il 2012 e il 2015 e questo è sconcertante” afferma in proposito Angel Gurría, segretario generale dell’OCSE, che continua “Sono stati effettuati sforzi in molti paesi e comunità per mettere in atto il principio del chi inquina paga, ma i progressi verso un utilizzo più efficace degli strumenti fiscali per ridurre le emissioni sono ancora lenti e frammentari. I governi devono fare di più e meglio.

Il principio “chi inquina paga”

Il principio “chi inquina paga” a cui fa riferimento il segretario generale dell’OCSE Gurría prevede che il soggetto inquinatore debba farsi carico proporzionalmente dei costi sociali che produce in termini di danni per la salute umana e l’ambiente. Citato inizialmente nel Primo Programma d’Azione Ambientale della Comunità Europea entrato in vigore nel 1973 e nella Dichiarazione della Conferenza di Rio de Janeiro su Ambiente e Sviluppo del 1992, nel 1986 tale principio è stato incluso nell’Atto Unico Europeo.

Oggi, la versione consolidata del trattato sull’Unione Europea e del trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (2016/C 202/01) all’articolo 191, comma 2, specifica che “La politica dell’Unione in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni dell’Unione. Essa è fondata sui principi della precauzione e dell’azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché sul principio chi inquina paga.”

Tale principio, abitualmente applicato quando l’inquinamento riguarda la contaminazione del suolo, dell’acqua e dell’aria, è invece meno rispettato quando si considera l’emissione di gas serra in atmosfera. Questo perché solo negli ultimi anni è stata universalmente riconosciuta la correlazione tra gas serra e cambiamento climatico, mentre la natura transfrontaliera degli effetti di quest’ultimo rende difficile stabilire responsabilità e distribuire adeguatamente le compensazioni.

I sussidi alle fonti fossili

Al tema della fiscalità energetica, in relazione agli obiettivi climatici, è collegata la questione dei sussidi destinati alle fonti fossili, sia perché ostacolano la transizione ad un sistema energetico a basse emissioni, sia perché i combustibili fossili risultano già favoriti dal momento che il loro prezzo non include (o in alcuni casi non rispecchia adeguatamente) i costi sociali e ambientali determinati dalle esternalità associate al loro utilizzo.

Sebbene i capi di governo riuniti a Tokyo per il G7 del maggio 2016 si siano impegnati ad eliminare gradualmente i sussidi ai combustibili fossili entro il 2025 (l’Unione Europea ha invece stabilito il 2020 come traguardo ultimo per la loro eliminazione), i progressi in questa direzione a livello globaleeuropeo e nazionale sono lenti o addirittura nulli.

Secondo uno studio pubblicato recentemente sulla rivista Nature, l’eliminazione completa dei sussidi alle fossili non sarebbe tuttavia sufficiente, da sola, per ridurre in maniera drastica le emissioni di CO2 e per promuovere una diffusione sempre maggiore delle energie rinnovabili. Pur rimanendo necessaria e doverosa la riforma dei diversi sistemi di sussidio diffusi a livello globale, questa “rivoluzione” risulterebbe vana a meno che non sia accompagnata da una serie di altre misure strutturali, quali quelle a sostegno della ricerca e innovazione in tecnologie low-carbon e la tassazione della CO2.

La lotta al cambiamento climatico richiede dunque uno sforzo enorme da parte dei governi, i quali dovrebbero utilizzare in maniera coordinata tutti gli strumenti disponibili, integrando in una strategia il più possibile condivisa, strutturale e di lungo periodo tutte le politiche, non solo quelle climatiche e ambientali ma anche quelle fiscali industriali.

* Tutti i 35 stati membri OCSE più 7 partner economici: Argentina, Brasile, Cina, India, Indonesia, Russia e Sud Africa. Complessivamente, questi paesi rappresentano circa l’80% del consumo mondiale di energia.

Questo articolo ha 0 commenti

Lascia un commento

Back To Top