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Portare Le Rinnovabili All’84% Del Mix Elettrico Significa Creare 360 Miliardi Di Benefici Economici E 540.000 Nuovi Posti Di Lavoro In Italia

L’intervista a Agostino Re Rebaudengo, presidente Elettricità Futura

Come evolverà il settore delle rinnovabili da qui al 2030? Che peso avranno le rinnovabili nel mix energetico? Assisteremo ad uno sviluppo lineare oppure dobbiamo attenderci una crescita esponenziale? Come si riadatteranno le industrie dei combustibili fossili?

Secondo la IEA (World Energy Outlook 2023) anche soltanto considerando le politiche attuali, entro il 2030 ci sarà uno sviluppo senza precedenti delle energie rinnovabili a livello mondiale. Sappiamo già che le politiche attuali dovranno alzare il livello di ambizione sugli obiettivi rinnovabili per avere una possibilità di mantenere l’aumento della temperatura globale a 1,5 C°.

Per raggiungere il target 1,5 C° dobbiamo triplicare le installazioni annue di nuove rinnovabili. Secondo IRENA, è tecnicamente fattibile ed economicamente sostenibile passare dagli attuali 300 GW/anno di nuove rinnovabili nel mondo a 1.000 GW/anno entro il 2030. Nel mondo oltre l’80% di nuova potenza elettrica realizzata nel 2022 è stata rinnovabile (300 GW su 360 GW), perché le rinnovabili riducono i costi e assicurano le forniture.

Per creare questi benefici anche in Italia, Elettricità Futura ha elaborato il Piano elettrico 2030 che, in coerenza con il REPowerEU, ha l’obiettivo di arrivare all’84% di rinnovabili nel mix elettrico nazionale rispetto all’attuale 43%. Per centrare il target 84% elettricità rinnovabile e creare oltre 360 miliardi di euro di benefici economici occorrono 143 GW di potenza rinnovabile installata e 80 GWh di accumuli di grande taglia entro il 2030, e bisogna anche rendere strutturale il meccanismo della capacità e sviluppare la rete elettrica. Per arrivare a 143 GW installati, dobbiamo realizzare 12 GW di nuova potenza rinnovabile all’anno in Italia.

Nel Report The Oil and Gas Industry in Net Zero Transitions pubblicato a fine novembre 2023, la IEA stima che con l’attuale trend la domanda globale di petrolio e gas sia destinata a raggiungere il suo picco entro il 2030, per poi iniziare a declinare. Se i Governi avessero mantenuto gli impegni assunti nel 2015 (Accordo di Parigi) il picco della domanda sarebbe avvenuto molto prima del 2030. Il punto è che continuiamo ad allontanarci dal percorso 1,5°C. Secondo la IEA, oggi rispetto al 2021 la finestra di possibilità di mantenere l’aumento della temperatura a 1,5°C si è ristretta, e se questa finestra resta ancora aperta è solo grazie alla crescita delle rinnovabili e all’elettrificazione.

Il business dei combustibili fossili diventerà sempre più rischioso e meno profittevole. Sempre la IEA, ricorda però anche che la transizione energetica apre opportunità per questo settore. Le tecnologie rinnovabili offshore, l’idrogeno, i bioliquidi: sono alcuni dei nuovi orizzonti di sviluppo della transizione in cui le industrie dei combustibili fossili sono ben posizionate, in termini di competenze e infrastrutture.

Quale tra le attuali tecnologie rinnovabili registrerà il maggior sviluppo da qui al 2030 e per quali motivi? Dove ritiene, invece, che ci si stia muovendo troppo lentamente?

Nei prossimi sette anni, il fotovoltaico e l’eolico saranno le due tecnologie rinnovabili che vedranno la maggiore accelerazione, principalmente per una questione di competitività dei costi, sono tra le tecnologie rinnovabili più mature. Il Piano elettrico 2030 prevede nel periodo 2024-2030 di installare in Italia  almeno 84 GW, di cui 56 GW di fotovoltaico, 26 GW di eolico e 2 GW di idroelettrico, bioenergie e geotermico.

Nonostante la competitività dei costi di eolico e solare di grande taglia, è proprio nello sviluppo di questi progetti che stiamo accumulando ritardi.

Mentre l’innovazione tecnologica corre veloce, la burocrazia autorizzativa è ancora un freno soprattutto per i grandi progetti rinnovabili, quelli necessari ad abbassare i costi dell’energia. Dei 3 GW di rinnovabili installati nel 2022, 2 GW siano stati piccoli impianti. Dei 6 GW che stimiamo verranno installati di rinnovabili nel 2023, più di 4 GW saranno piccoli impianti, realizzati principalmente con il Superbonus.

Ultimamente, mi sono trovato spesso a dover rispondere su una questione che sta prendendo spazio nell’attuale dibattito italiano sulla transizione energetica. Bastano i tetti per raggiungere il target 2030? La recente Assemblea Pubblica Elettricità Futura, che ha visto gli interventi in presenza di Gennaro Sangiuliano, Ministro della Cultura e di Gilberto Pichetto Fratin, Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, è stata anche l’occasione per fare chiarezza.

Nella mia relazione introduttiva ho presentato tre scenari. In uno scenario 100% di fotovoltaico sui tetti un MWh costa 180 €. Nello scenario del Piano elettrico 2030 che prevede 30% sui tetti e 70% a terra, si ha un costo di generazione di 110 €/MWh. In un terzo scenario, 100% fotovoltaico a terra, generare 1 MWh costa 80 €. Quindi, gli impianti fotovoltaici sui tetti hanno un costo di generazione dell’energia più che doppio di quello degli impianti a terra. Lo scenario del Piano 2030 consente oltre 20 miliardi di risparmi sulla generazione (2024-2030) rispetto al 100% sui tetti.

Guardando al prodotto come cambieranno le tecnologie rinnovabili? Tra le tecnologie emergenti, quali sono quelle destinate a prevalere da qui al 2030 e dove si stanno sviluppando?

Ritengo che l’innovazione tecnologica nelle rinnovabili e nelle tecnologie per la transizione, quindi vale anche per i sistemi di stoccaggio dell’energia e i motori e le batterie delle auto elettriche, andrà nella direzione di una sempre maggiore sostenibilità economica e ambientale, aumentando l’efficienza delle performance e riducendo (in certi casi annullando) l’utilizzo di terre rare.

Alcuni esempi. La giapponese Toyota sta investendo per realizzare nuove batterie che riducono l’uso di terre rare.​ Renault ha presentato i primi dettagli di un motore elettrico privo di terre rare (inizio produzione 2027).

Nel settore elettrico bisognerebbe investire di più nella ricerca e nello sviluppo di nuove tecnologie e di batterie che consentano di non utilizzare o di ridurre l’impiego dei materiali rare.​ È possibile realizzare batterie e tecnologie senza impiegare litio e cobalto, ad esempio le batterie al sale, all’acqua marina. Credo che presto assisteremo alla diffusione di batterie a flusso, in grafene o nanotubi di carbonio.​ Ne sono convito perché per le imprese ridurre l’impiego di terre rare vuol dire aumentare la sicurezza delle catene di approvvigionamento perché aumenta l’indipendenza dalle importazioni di questi materiali.

Come cambieranno i modelli di business del settore? Rileva delle convergenze tra il settore energetico e altri settori?

Vi sono certamente più convergenze possibili. Lo sviluppo dell’eolico offshore galleggiante promette importanti sinergie tra la filiera nazionale dell’eolico e il comparto manifatturiero italiano, due eccellenze del Made in Italy competitive a livello mondiale. Possiamo sviluppare la filiera nazionale facendo leva sui primati industriali raggiunti dall’Italia a livello europeo nei settori del ferro e dell’acciaio e nella produzione di piattaforme galleggianti. Il mare apre sinergie anche tra l’Oil & Gas e le tecnologie rinnovabili offshore. Le piattaforme petrolifere potrebbero essere avviate a riconversione sostenibile e diventare hub logistici a servizio delle turbine eoliche flottanti.

Quale ruolo sta avendo e avrà il digitale in questa trasformazione? Sia a livello di servizi che di nuovi attori economici (ad esempio ipotizzando piattaforme per l’energia, “energy as a service”, centrali elettriche virtuali). In particolare tra le diverse tecnologie quali tra queste avranno maggiore impatto, e in quale ambito: intelligenza artificiale, Blockchain, internet delle cose, big data, smart grid, robotica?

Le imprese delle energia elettrica sono state pioniere nella rivoluzione digitale sin dagli anni settanta del secolo scorso. L’energia della transizione è digitale e lo sarà sempre di più. Verso la digitalizzazione sono – e saranno sempre di più orientati – gli investimenti nelle reti elettriche italiane, infrastrutture già oggi estremamente all’avanguardia e pronte ad accogliere il forte sviluppo previsto delle energie rinnovabili.

Per il settore energetico è un grande valore aggiunto poter combinare le potenzialità della digitalizzazione e le capacità analitiche e predittive dell’Intelligenza Artificiale, significa ad esempio poter velocizzare e rendere più accurata l’analisi dei dati, ottimizzare l’efficienza dei sistemi, aumentare la flessibilità delle infrastrutture di rete, disporre di previsioni più accurate di domanda e offerta di energia.

Le centrali elettriche virtuali sono configurazioni ancora poco diffuse che possono aggregare in un cloud diversi tipi di “entità” dell’energia (impianti eolici, fotovoltaici, a biogas, centrali idroelettrici, impianti di cogenerazione, auto elettriche) e interfacciarsi con il mercato dell’energia come un unico grande impianto. In Germania è stata realizzata una centrale elettrica virtuale che aggrega 1.300 parchi eolici, 100 produttori di energia solare, 12 centrali a biomassa e 8 centrali idroelettriche. Certamente l’Intelligenza Artificiale apre nuove possibilità per ottimizzare il funzionamento delle Virtual Power Plant, l’importante è garantire l’adeguatezza e la sicurezza del sistema e ottimizzare i costi della sua gestione a beneficio delle imprese e dei cittadini.

L’accelerazione delle rinnovabili evidenzia l’emergere di nuovi attori, dai cittadini che da semplici consumatori di energia diventano produttori o in produttori attori nello stoccaggio di energia, oppure attori a valle della filiera nasceranno imprese legate al fine vita dei prodotti che ne rigenereranno o ricicleranno materia. Vede altri attori emergenti nella filiera?

Certamente le diverse configurazioni della generazione distribuita vedranno una crescita nei prossimi anni. Le Comunità Energetiche Rinnovabili (CER) rappresentano ancora una nicchia nella maggior parte dei mercati energetici europei, attualmente si stimano circa 9.000 comunità in funzione in tutta l’Europa (Fonte: studio Agici – Accenture del 2023).

A livello europeo, i Paesi più avanti sono la Germania, con le sue 5.000 Comunità Energetiche Rinnovabili, e la Danimarca, che ne conta 700. Le loro esperienze possono offrire esempi di buone pratiche per identificare e implementare modelli di successo per le CER anche per l’Italia che attualmente ha meno di 100 comunità tra CER e AUC (Autoconsumo Collettivo).

Nel nostro Paese, quindi, le CER sono in una fase nascente. È questo il momento di porre la massima attenzione nell’individuare gli elementi critici da migliorare per minimizzare i rischi.

Date le dimensioni consentite, le energy community potrebbero diventare attori rilevanti del sistema energetico. Quindi, a beneficio della sicurezza del sistema e dei cittadini che aderiscono alle CER è importante dare la responsabilità della loro gestione a soggetti professionali abilitati.

Come cambieranno le tecnologie legate alle rinnovabili dal punto di vista del design e delle soluzioni. Vede una maggiore integrazione con prodotti edilizi o manifatturieri? È a conoscenza di prodotti di questo tipo e chi li sta sviluppando? Questa integrazione si farà sempre più stretta tanto da cambiare il volto di prodotti, abitazioni o addirittura città nei prossimi dieci-venti anni?

Cresce l’attenzione e l’impegno delle imprese a sviluppare progetti e soluzioni in grado di coniugare lo sviluppo delle rinnovabili, la diffusione dell’efficienza energetica e l’integrazione nel paesaggio naturale e urbano nel pieno rispetto del patrimonio artistico e culturale.

Ad esempio, il Museo e Real Bosco di Capodimonte di Napoli ed ENGIE hanno avviato un progetto di efficienza energetica, riqualificazione e valorizzazione del sito museale che prevedere anche l’installazione di 4.500 moduli fotovoltaici, completamente integrati e invisibili. La Soprintendenza ai beni culturali, nel motivare il proprio parere positivo, ha riconosciuto la rilevanza del progetto come modello pilota e sperimentale, sottolineando l’alto profilo degli interventi e la profonda innovazione tecnologica, in particolar modo sul tema dell’efficientamento energetico.

Un altro esempio di design innovativo applicato a soluzioni tecnologiche di avanguardia pienamente integrate nel tessuto urbano è “The Heat Garden”. Il progetto architettonico di IREN pensato per il nuovo sistema di accumulo del calore a servizio della rete metropolitana di teleriscaldamento in centro a Torino unisce innovazione, design e urbanistica. L’impianto ospita terrazzi e giardini pensili con quasi 11 mila tra piante e alberi, oltre a una serra di coltivazione, che creano un tutt’uno con il sistema di accumulo vero e proprio.

Quali nuove professionalità vede emergere nel settore? Il fine vita è sicuramente un campo di intervento sterminato. Ritiene nasceranno altre figure professionali? Quali saranno le figure professionali chiave? E che diffusione stanno avendo e quale avranno nel mercato del lavoro da qui al 2030?

La transizione energetica è un volano per l’occupazione, anche in Italia. Raggiungere il target del Piano elettrico 2030 significa creare 540.000 nuovi posti di lavoro nel nostro Paese. Il mondo della formazione ha un ruolo fondamentale per orientare gli studenti verso i green jobs. Per poter valorizzare al meglio i talenti, è importante da una parte che gli studenti conoscano quali sono le professionalità che verranno sempre più richieste dalle imprese della transizione energetica, dall’altra è necessario fornire ai ragazzi le competenze e le capacità per poter scegliere, in base alle loro personali inclinazioni, verso quale percorso professionale orientarsi.

Ingegneri elettronici, ingegneri meccanici, esperti della gestione dell’energia, installatori di impianti, economisti ed esperti di finanza, informatici ambientali, tecnici per la gestione e la progettazione dei progetti energetici (anche in ambito agricolo), esperti di diritto, manager di progetti di sostenibilità, esperti di marketing ambientale, data analyst, certificatori della qualità ambientale, professionisti della comunicazione, esperti di edilizia green, riparatori di macchinari e impianti.

Sono solo alcune delle professionalità che rientrano nell’ampio ventaglio di nuovi posti di lavoro che le imprese del settore elettrico stanno già offrendo. Non solo operai e tecnici specializzati quindi, per lavorare nella transizione energetica si può scegliere di specializzarsi nel digitale, nell’economia e nella finanza, nell’architettura, in ambito legale, nella comunicazione, nella gestione delle risorse umane, nell’intelligenza artificiale.

E non solo uomini. Le donne sono sempre più ricercate nel mondo dell’energia, un settore storicamente ad appannaggio maschile che finalmente vede nella crescente offerta di assunzioni rivolte alle donne un importante valore aggiunto per la crescita del business. Sempre più imprese infatti si sono poste l’obiettivo esplicito di formare Team di lavoro assicurando una equilibrata presenza di donne e uomini ed equità di genere nelle condizioni di lavoro.

Oggi tra le imprese che assumono e gli studenti che escono dalla Scuola, dalle Università, dagli Istituti tecnici c’è un gap in termini di bagaglio di competenze e capacità. Le imprese che offrono nuovi posti di lavoro nella transizione energetica in Italia abbiano difficoltà di reperimento per oltre il 40% delle figure professionali richieste (Rapporto GreenItaly 2022).

Manca quell’infrastruttura di collegamento che dalla Formazione assicuri un passaggio rapido e mirato al mondo del lavoro, un ponte da costruire quando ancora i ragazzi stanno studiando, ad esempio prevedendo moduli didattici dedicati a conoscere le opportunità dei Green Jobs, concordando giornate di formazione presso le imprese, ospitando testimonianze e lezioni in classe di manager industriali, portando gli studenti a visitare gli impianti e le infrastrutture dell’energia.

Da qui al 2030 quali barriere allo sviluppo delle rinnovabili la preoccupano di più e perché?

La resilienza delle reti è certamente un fattore chiave per lo sviluppo delle rinnovabili, ma non è una barriera, è invece un volano. Le imprese nazionali sono eccellenze mondiali nell’innovazione delle reti elettriche, infrastrutture chiave che sono un esempio a livello mondiale di digitalizzazione e innovazione e che verranno ulteriormente sviluppate e rafforzate. Le Materie Prime Strategiche sono tema di grande rilevanza collegato – anche – alla transizione energetica. Specifico anche perché sono importanti input per diversi settori industriali nazionali.

Per trasformare l’approvvigionamento di terre rare in un’opportunità per l’Italia è sulla nostra leadership nell’economia circolare che dobbiamo puntare. L’Italia è il Paese europeo con il più alto tasso di riciclo dei rifiuti speciali e urbani, riusciamo a riciclare ben l’84%, come Symbola ben documenta nei suoi Report. La gran parte dei materiali critici utili per la transizione energetica si trova nei RAEE. Se in Italia si raggiungesse il 65% di raccolta di RAEE (come prevede il target europeo) e si realizzassero gli impianti per il loro riutilizzo, il nostro Paese potrebbe recuperare circa 17 mila tonnellate di Materie Prime Critiche, pari al 25% di quelle importate dalla Cina nel 2021 (Fonte: Studio The European House – Ambrosetti – Erion, 2023). Da campioni di economia circolare possiamo anche arrivare a superare l’obiettivo europeo del 65% per i RAEE, come siamo riusciti a fare per i rifiuti. Possiamo farlo a condizione di dare davvero un colpo di reni alla circolarità dei RAEE, perché attualmente in Italia soltanto il 37% dei RAEE viene raccolto, a fronte del 46% della media europea, siamo infatti tra i 5 Paesi meno virtuosi, davanti solo a Portogallo, Cipro, Malta e Romania. Anche secondo Cassa Depositi e Prestiti la circolarità aprirebbe una miniera di Materie Prime Critiche, secondo un loro studio, grazie al riciclo delle batterie esauste, l’Europa potrebbe soddisfare al 2040 oltre la metà della domanda di litio (52%) e di cobalto (58%) necessaria alla mobilità elettrica.

A preoccuparmi maggiormente sono le barriere normative e culturali che ostacolano lo sviluppo delle rinnovabili e il raggiungimento dei target al 2030. Rispetto al quadro normativo, è da mettere a posto la questione delle aree idonee, servirebbe anche un riordino delle numerose semplificazioni avviate, rendendole organiche in un Testo Unico. Andrebbe anche migliorato il coordinamento tra i diversi livelli di governance coinvolti nelle autorizzazioni dei nuovi progetti fotovoltaici.

Un problema molto sentito dalle nostre imprese associate che andrebbe risolto il prima possibile è la saturazione virtuale della rete di trasmissione. Elettricità Futura ha più volte segnalato la necessità di trovare nuovi criteri di connessione alla rete di Terna affinché i progetti con basi solide dal punto di vista tecnico e finanziario possano avere certezza di realizzazione. Sono confidente sulle proposte indicate da Terna anche alla nostra Assemblea, tra cui migliorare il sistema di gestione delle connessioni, aumentare il corrispettivo, semplificare la disciplina di decadenza e rafforzare l’interazione tra il Gestore di rete, le Regioni e i Comuni.

C’è anche da lavorare sulla dimensione percettiva del fotovoltaico, scardinando i falsi miti che si sono consolidati nel senso comune. Le rinnovabili non sottraggono terreno all’agricoltura e non danneggiano i suoli. Raggiungere il target del Piano elettrico 2030 portando le rinnovabili all’84% del mix elettrico, richiede soltanto lo 0,2% del territorio, e questa minima porzione di suolo non viene danneggiata in alcun modo dagli impianti fotovoltaici. Infatti, gli impianti fotovoltaici non implicano impermeabilizzazione del suolo e/o coperture artificiali permanenti (a differenza del cemento degli edifici e dell’asfalto delle strade). Peraltro, la superficie utilizzata dal fotovoltaico torna al suo utilizzo precedente terminata la vita utile dell’impianto: le imprese hanno l’obbligo di riportare le aree alle condizioni iniziali.

In questa riorganizzazione del sistema che ruolo può giocare l’Italia, soprattutto in quali segmenti può giocare la sua partita?

Per comprendere il ruolo dell’Italia nella transizione energetica, è bene partire dallo stato attuale della filiera industriale del settore e dai suoi possibili sviluppi per raggiungere gli obiettivi del REPowerEU al 2030. Alla base della valutazione dei benefici economici, occupazionali e ambientali del Piano elettrico 2030 elaborato da Elettricità Futura, c’è lo studio “La filiera italiana delle tecnologie per le energie rinnovabili e smart verso il 2030” di Enel Foundation realizzato con Althesys ed Elettricità Futura.

Lo scopo di questo studio è analizzare la filiera italiana delle tecnologie per le energie rinnovabili e smart al fine di evidenziare come il processo di decarbonizzazione possa contribuire al rilancio dell’industria italiana, creando ricchezza, benessere e occupazione. Il lavoro, partendo dal quadro attuale della filiera, valuta le potenzialità di sviluppo alla luce del fabbisogno di investimenti per realizzare la transizione energetica.

È emerso che la filiera delle tecnologie elettriche rinnovabili e smart nazionale, con oltre 12 miliardi di euro di fatturato conta attualmente oltre 800 imprese. I benefici socio-economici per l’Italia derivanti dallo sviluppo di questo settore potrebbero equivalere fino al 2% del PIL annuo da qui al 2030. Secondo lo studio, il Piano elettrico 2030 prevede oltre 360 miliardi di euro di benefici economici, in termini di valore aggiunto per filiera e indotto, con 540.000 nuovi posti di lavoro nel settore elettrico e nella sua filiera industriale nel 2030, che si aggiungeranno ai circa 120.000 di oggi.

La priorità per la sicurezza energetica nazionale e la competitività della nostra economia è sviluppare la filiera industriale in Italia, che è già un’eccellenza a livello mondiale per l’elevata qualità e il livello di innovazione delle linee di produzione. Secondo uno studio del Gruppo Intesa San Paolo che analizza la filiera delle imprese italiane che producono componentistica per la produzione di energia da fonte rinnovabile, l’Italia con il 3 per cento dell’export mondiale è il sesto paese esportatore di tecnologie rinnovabili nel mondo. Dopo la Germania, l’Italia è il secondo Paese europeo produttore di tecnologie per le rinnovabili.

A Catania sono nati i pannelli solari bifacciali ed Enel sta potenziando la propria fabbrica di moduli fotovoltaici che a breve diventerà la più grande gigafactory d’Europa e arriverà a produrre 15.000 pannelli al giorno: si tratta di moduli sostenibili, tracciabili, prodotti nel pieno rispetto dei diritti dei lavoratori e dei principi dell’economia circolare. L’impresa italiana Convert progetta e installa in tutto il mondo una tecnologia innovativa, al 100 per cento made in Italy e realizzata da una filiera di sei aziende nazionali, che permette ai pannelli fotovoltaici di ruotare e inseguire il sole.

Per rafforzare la capacità produttiva nazionale di tecnologie per la transizione energetica e sviluppare la filiera italiana dobbiamo aumentare la domanda interna e dare tempistiche certe alle imprese. In parallelo, se ancora per qualche anno dovremo importare tecnologie fotovoltaiche è sempre più conveniente rispetto a importare combustibili fossili, e non solo da un punto di vista climatico ma anche economico. Secondo i dati dell’Energy & Strategy Group del Politecnico di Milano, a parità di budget investito, gli impianti fotovoltaici ci danno anche oltre 3 volte più energia elettrica rispetto al gas. Peraltro, questo calcolo considera tutti i costi per la realizzazione dell’impianto fotovoltaico, mentre per il gas tiene conto soltanto del costo della materia prima.

Questo articolo è stato pubblicato su symbola.net – 29 gennaio 2023

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