Superare le sindromi Nimby e imparare dalla Cina: ecco come fare impresa nelle rinnovabili
L’esperienza di Asja Energy insegna: trent’anni di sostenibilità sulle spalle e una transizione ecologica da portare avanti
Oggi è una società benefit, tra le maggiori protagoniste della transizione ecologica in Italia – con attività anche in Cina, Brasile e Colombia –, ma nel 1995 il fondatore ebbe difficoltà anche solo a spiegare al suo notaio cosa avrebbe realizzato la nuova azienda. È la parabola di Asja Energy, che quest’anno ne compie trenta e grazie al suo presidente Agostino Re Rebaudengo è oggi in grado di produrre energia rinnovabile per 1 milione di persone.
Quel giorno dal notaio, trent’anni fa, si aspettava che la sua Asja potesse crescere fino a questi livelli?
«Allora non pensavo a cosa sarebbe successo nel 2025, ma se da un lato sono convinto che se mi fossi concentrato maggiormente sull’azienda avrebbe potuto crescere ancora di più, dall’altro credo che sia importante – anche come imprenditore – avere più punti di focalizzazione. Oggi conto una ventina d’anni di militanza nel mondo dell’associazionismo d’impresa, passando da Aper ad assoRinnovabili, da Confindustria Energia a Elettricità Futura; sono stato per 11 anni presidente del Teatro Stabile di Torino, altro tempo l'ho dedicato come presidente e oggi come socio al Museo A Come Ambiente; al CinemAmbiente Film Festival. E ovviamente per me importantissimi sono anche i 30 anni di lavoro e di successi della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo per l'arte contemporanea guidata da mia moglie Patrizia Sandretto. Partecipo anche alla Venice Garden Foundation per il restauro, la cura e la conservazione dei beni artistici e culturali di Venezia tra cui l’avvenuto recupero dei Giardini Reali e degli Orti del Santissimo Redentore, un bellissimo progetto guidato da mia sorella Adele.
Credo sia molto importante dedicarsi al lavoro e alla propria azienda, cosa che faccio con passione, ma i risultati non si misurano solo in fatturati o kWh prodotti. Senza di essi non potrebbe forse esserci tutto il resto, ma se una persona ne ha le possibilità credo sia suo dovere dedicare tempo a migliorare le cose che ha intorno a sé».
Il mecenatismo come un dovere dunque, più che un piacere?
«Sì, ma anche come un’opportunità. Dobbiamo lavorare per far funzionare bene l’impresa in cui abbiamo delle responsabilità, ma le altre attività credo aiutino ad avere una visione più ampia delle cose. È la metafora del salire sull’elicottero che mi hanno insegnato all’Harvard Business School, per guardare dall’alto e avere così il quadro della situazione: ti aiuta a definire meglio gli obiettivi da raggiungere, e permette d’individuare le strade migliori da prendere, che non sempre sono le più corte».
Continua a leggere l'articolo intero, pubblicato su greenreport.it il 17 luglio 2025