skip to Main Content
COP24 E La Sfida Che Non Possiamo Perdere

Domenica 2 dicembre si è aperta a Katowice, Polonia, la 24° Conferenza delle Parti (COP24) della United Nations Framework Convention on Climate Change (UNFCCC). Fino al 14 dicembre i rappresentanti politici delle quasi 200 nazioni partecipanti e una folta schiera di funzionari lavoreranno per definire le regole di attuazione dell’Accordo di Parigi 2015, con il quale i firmatari si impegnarono a intensificare gli sforzi per “mantenere l’aumento delle temperature al 2100 ben al di sotto dei 2°C rispetto ai livelli preindustriali, con l’obiettivo di limitare l’aumento a 1.5°C”. Ad oggi, l’accordo è stato ratificato da 184 paesi.

Come ricordato dall’International Panel on Climate Change (IPCC, il braccio scientifico dell’UNFCCC) in un rapporto di recente pubblicazione, la finestra temporale per scongiurare i peggiori effetti dei cambiamenti climatici si sta per chiudere ed è necessario agire in fretta, avviando un cambiamento senza precedenti in tutti i settori con l’obiettivo di ridurre drasticamente le emissioni di CO2 entro il 2030 e raggiungere emissioni nette pari a zero nel 2050. I negoziati di questi giorni rivestono dunque un’importanza fondamentale, perché dovrebbero tradurre i propositi di Parigi in regole certe e meccanismi efficaci, in modo che l’Accordo possa effettivamente diventare operativo nei termini previsti (2020).

Quest’anno, le emissioni di anidride carbonica di origine fossile segneranno molto probabilmente una leggera crescita, confermando il trend del 2017. Ciò significa che il picco di emissioni non è ancora stato raggiunto, dopo che un triennio di incremento tendente allo zero aveva fatto pensare il contrario. In ogni caso, secondo l’Emission Gap Report dello United Nations Environmental Program (UNEP) pubblicato a fine novembre, anche se i paesi che hanno ratificato l’Accordo di Parigi riuscissero a ridurre le proprie emissioni secondo quanto indicato nei rispettivi obiettivi nazionali al 2030, il mondo sarebbe comunque fuori dalla traiettoria dei +2°C al 2100.

È chiaro quindi che occorre rivedere al rialzo i target nazionali prima del 2030. Per l’Unione Europea (e dunque l’Italia), essi corrispondono al traguardo indicato dal Clean Energy Package, che dovrebbe di fatto passare da -40% a -45% di emissioni nel 2030 (rispetto al 1990), grazie ai nuovi e più ambiziosi obiettivi inclusi nelle direttive rinnovabili ed efficienza di ormai prossima pubblicazione. Nella visione della Commissione europea, espressa in una comunicazione del 28 novembre scorso, l’Europa arriverà ad essere a “impatto climatico zero” nel 2050, con un beneficio economico stimato intorno al 2% del PIL in più rispetto allo scenario tendenziale.

La sfida della decarbonizzazione è infatti anche un’opportunità di sviluppo: la transizione verso un sistema energetico a basse emissioni, se ben governata, porta crescita economica e nuovi posti di lavoro. Tuttavia, una radicale trasformazione dei sistemi produttivi e degli stili di vita genera sia vincitori che vinti. Nella formulazione delle politiche energetiche e ambientali, i governi dovrebbero allora tener conto degli effetti redistributivi delle misure che intendono applicare. Esemplare è il caso della recente protesta dei gilet gialli in Francia, che ha costretto il governo di Macron a fare marcia indietro sull’aumento della tassazione sui carburanti di origine fossile. Certo è che perdere la sfida climatica comporterebbe un numero di vinti infinitamente maggiore di quello dei vincitori.

In un sistema internazionale dove il multilateralismo mostra preoccupanti segnali di debolezza, appare poco probabile che a Katowice, capitale della regione della Slesia, cuore carbonifero (e carbonivoro) dell’Europa, si possa raggiungere il miglior accordo possibile su tutte le questioni aperte – finanza climatica, monitoraggio dei progressi, revisione degli impegni nazionali, per citarne alcune. Per riuscirci, i rappresentanti dei governi dei paesi seduti al tavolo della COP24 dovranno prendere delle decisioni di cui pagheranno i costi – anche politici – nel breve periodo, mentre i benefici diventeranno evidenti nel lungo. L’augurio è che la prossima settimana, quando il lavoro dei funzionari lascerà spazio a quello dei politici, le scelte possano essere fatte guardando più in là del prossimo turno elettorale.

Questo articolo ha 0 commenti

Lascia un commento

Back To Top