Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza dell’Italia è, nella forma definitiva, la versione migliore che si potesse realizzare. A presentarlo è Mario Draghi, un uomo dall’indiscussa credibilità che trasferisce al Piano una cornice di attendibilità di cui il nostro Paese ha assoluto bisogno.
Sud, digitalizzazione, transizione ecologica, inclusività sociale. Gli assi del Piano evidenziati da Draghi denotano che c’è finalmente una visione, chiara e a lungo termine, di dove vuole andare il Paese.
Più che un insieme di progetti e voci di spesa, dovremmo intendere il PNRR come lo strumento per trasformare il funzionamento dell’Italia. Questa è davvero l’ultima chiamata per riagganciare la crescita e guadagnare il terreno perso in confronto al resto d’Europa.
Come si legge nel Piano, dal 1999 al 2019 il PIL italiano è cresciuto solo del 4,2%, a fronte di una crescita del 21,2% in Francia e del 21,3% in Germania. Abbiamo perso anche produttività, in Italia calata del 6,2% tra il 2001 e il 2019, mentre è generalmente aumentata a livello europeo.
Ritengo si debba andare oltre il dettaglio delle cifre, perché a fare sul serio la differenza sarà la capacità di attuare le urgenti riforme che il Paese aspetta da decenni.
Prima mancavano i soldi, adesso ci sono e dobbiamo dimostrare di saper fare. Siamo i maggiori beneficiari dei fondi europei per la ripresa. Su 222 miliardi a disposizione dell’Italia, 191,5 miliardi arrivano dall’Europa, e 30,6 miliardi sono stanziati dal nostro Governo.
Pubblica Amministrazione, fisco, giustizia civile, concorrenza, sanità, scuola, trasporti.
Le riforme strutturali richiedono uno sforzo corale e propositivo di tutti i gruppi politici. Non è più tempo di spaccature o comportamenti da campagna elettorale, i partiti sono chiamati a dare prova di grande senso di responsabilità, o sarà impossibile fare le riforme e salvare l’Italia.
I fondi del PNRR non sono una bacchetta magica. Ci vuole il coinvolgimento attivo delle forze imprenditoriali. Il dialogo Governo-imprese e le partnership pubblico-privato sono punti da rafforzare necessariamente per rendere i fondi del PNRR una leva per gli investimenti privati, vera energia per l’ammodernamento del Paese.
Lamentarsi a turno sulle singole voci del Piano fa perdere la visione d’insieme sui veri tasti dolenti del Paese da sanare immediatamente, come il funzionamento della Pubblica Amministrazione e l’eccesso della burocrazia. Semplificare e digitalizzare la PA tagliando sprechi e inefficienze permetterebbe di liberare circa 150 miliardi di PIL.
Dobbiamo migliorare la capacità di portare a termine in tempo i progetti. Come ha sottolineato anche Carlo Bonomi, in Italia per realizzare opere infrastrutturali sopra i 100 milioni di euro ci vogliono in media quasi 16 anni. In soli 5 anni dovremo aver completato tutti i progetti del PNRR. Puntiamo i riflettori sulle riforme e sulle semplificazioni che devono servire per questi progetti ma anche per tutti gli altri.
Infatti, il più grande aiuto alle imprese è tagliare la burocrazia inutile. Anche per la crescita delle rinnovabili ordinarie il volano è la semplificazione. Il settore non ha bisogno di fondi, ma di condizioni autorizzative e di mercato per potere sviluppare la capacità rinnovabile necessaria a centrare i target del Green Deal.
È un bene che il PNRR introduca misure per accelerare la transizione ecologica, come la previsione di iter speciali per i progetti del Piano, il Provvedimento Unico per le iniziative sull’ambiente in ambito nazionale. Da accogliere con favore anche l’accento posto sull’autoconsumo di energia e le comunità energetiche.
L’avvio di una disciplina condivisa a livello regionale per l’installazione degli impianti rinnovabili è tra le azioni più efficaci introdotte nel Piano per velocizzare la transizione energetica.
Il ruolo delle Regioni e degli enti locali sarà centrale tanto nella governance del PNRR quanto nella realizzazione della transizione energetica. Sono gli enti locali i veri attuatori del Piano, della transizione ecologica…e quindi della trasformazione dell’Italia!
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